Wired è morto, o quasi. Se volete la cronaca, andate qui.

Se volete la presunta storia dei suoi inizi, andate qui.

Se volete leggere una storia vera, eccola.

Già, perchè purtroppo la versione raccontata da Riccardo Luna è molto diversa da come andarono le cose in realtà. Nel febbraio del 2008, per puro miracolo, lessi su una rivista del settore che Conde Nast, stava per portare in Italia Wired, testata alla quale ero abbonato dal primo numero nella sua versione americana.

Ai tempi avevo da poco mollato un lavoro da sales manager e avevo iniziato a scribacchiare con un certo successo per portali e blog, così provai contattare Luna. Lui mi rispose per email, dicendomi di proporgli 5 idee per la rivista. Io gliene suggerii 50, tutte buone (a suo dire). Dopo un paio di settimane ero nella squadra che avrebbe dovuto realizzare il numero zero (ovvero quel numero di prova che viene poi sottoposto a focus group, cioè potenziali lettori, per capire se la rivista può avere un senso in edicola oppure no).

La paga era risibile (363 euro netti al mese che, divisi per le ore lavorate, circa settanta alla settimana, fanno un tozzo di pane secco e un po’ acqua all’ora), ma sticazzi, pensavo: questa rivista è fica, innovativa, etc.etc. se lavoro bene mi assumeranno. Il team redazionale era formato da un paio di espertoni (Roberto Casalini e Paolo Bonanni, ex direttore di Max e GQ, presente come “chioccia” redazionale, visto che Luna era spesso, molto spesso in giro…) dal sottoscritto, da un altro giornalista come me “senza pedigree”, Stefano Lentati. Ah c’era pure il figlio dell’amministratore delegato di Condè Nast, Alberto Grandi (ottima penna eh, ci mancherebbe).

Lavoriamo tanto e bene. Dopo sei mesi, durante i quali scriviamo e/o traduciamo materiale sufficiente per almeno tre numeri, partoriamo il numero zero e ai focus group questo non va bene. Va benissimo. Se la rivista va in edicola è in larga parte merito nostro. Punto. Tutti contenti, caviale & champagne? Macchè. Io e Stefano, in quanto “senza pedigree” veniamo convocati in una afosa mattina di agosto e de facto sbattuti in mezzo ad una strada perchè considerati “inesperti” da Luna, il quale peraltro veniva da un’esperienza trascorsa presso un quotidiano sportivo, Il Romanista, da lui diretto e fondato anni prima.

La domanda “ma se andavo bene per il numero zero, che peraltro grazie al mio lavoro è riuscito alla grande, com’è possibile che non vada bene per il numero uno?” resta senza risposta. La domanda “ma come ha fatto un giornalista che ha parlato per anni di calcio a Roma, ad andare a dirigere una rivista che è fondata su presupposti e tematiche antitetiche?” pure, resta senza risposta.

Al nostro posto vengono assunti giornalisti che ovviamente non avrebbero mai accettato le condizioni economiche proposte dal nostro contratto, pescati da un periodico musicale, un maschile e un mensile tecnologico, la rivista arriva in edicola e poi va come va. La storia è questa, un po’ diversa da come la racconta il nostro, LOL, Digital Champion



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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10 Comments

  1. Non ho mai capito il senso di Wired Italia. Mi spiego. Wired, quello vero, è un po’ come una finestra sul future e sulle cose “avanti” del presente, una roba fica sul serio, interessante, TECNOLOGICA, dove leggere e approfondire.
    Wired Italia, sin da subito, è stata una versione leggermente con meno tette di Max e GQ. E io mi chideveo “ma cosa ha a che fare con Wired?”. Ecco, ora lo capisco. :)

    1. Beh, c’è anche da dire che in Italia manca la materia prima, ovvero
      -il futuro,
      -la tecnologia,
      -i lettori capaci di apprezzare una testata che parli di queste due tematiche (cioè, ci sono, ma sono troppo pochi per fare “massa critica”, anche perchè presumibilmente si pigliano già l’edizione americana o inglese)

      1. Ma lo sappiamo per certo, che manchino, questi lettori? Voglio dire, uovo e gallina, certo, ma fino a che quella rivista non provi a farla, non lo sai, se i lettori che la comprerebbero ci sono. In compenso, ora sappiamo che non ci sono abbastanza lettori per la “Wired” che hanno fatto.

        1. Beh, ovviamente uno ci prova e poi vede, solo che per provarci servono soldi, se non ricordo male CN investì quasi 3 milioni di euro nel lancio della rivista (dato da prendere con assoluto beneficio d’inventario). Che già la prima versione fosse diversa dall’originale era chiaro, poi ci si mise quello che pareva essere giusto per rendere la rivista commestibile al maggior numero di persone possibili (infatti ricordo bene che nei focus group sorprese parecchio il feedback positivo dei non-nerd, cosa che fece pensare che il bacino d’utenza fosse maggiore di quanto stimato in precedenza).

      2. Luna mi ha sempre ricordato un certo Marco di Metallo.

  2. Storia istruttiva davvero. grazie per averla raccontata,,,,,

  3. Quello che tu scrivi è esattamente il motivo per cui ho creato la mia casa editrice partendo da zero. È stata ed è durissima fare tutto da soli, in quattro persone che… “stai foolish stai hungry!”, ma come dice il buon Mark Wahlberg nel remake di the gambler, questo ci/mi permette di dire ai Luna e co.: “Fottiti”. Grazie!

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